La parabola emotiva dell'anno all'estero inizia non quando si arriva nel Paese, ma quando ci si iscrive al programma. Si inizia con un picco di positività che si inverte in un picco di negatività dopo l'intervista per essere accettati, "nell'ascolto ho fatto almeno ventisette errori, non partirò mai". Ovviamente tutti vengono accettati e ci si stabilizza per un po' di mesi su una bilancia, in attesa della famiglia, i cui due piatti portano l'uno un po' di ansia e l'altro un po' di eccitazione. Quando poi ti arriva la lieve notizia il tuo corpo produce ormoni come mai in tutta la tua adolescenza e non importa come sia la tua futura situazione: sei contento. Passi tutta l'estate da esaltato fino a tre giorni prima della partenza, il momento in cui ti chiedi:"ma che minchia sto facendo?". Il giorno dopo invece vorresti essere già sull'aereo. Quando poi ci sei veramente emozioni contrastanti si fanno strada, "ma che figata sta cosa ma perché sto facendo tutto questo ma cosa mi è saltato in mente che bello sto andando in america ma come farò un anno senza prosciutto usa usa usa usa". E poi? E poi niente arrivi negli Stati Uniti d'America.
Atterrato in Colorado non capivo niente, mi sentivo come un pesce fuor d'acqua, in mezzo al nulla e in mezzo a nessuno. Pensieri? Zero. Troppo stanco per prendere coscienza di ogni ragionamento logico. Il giorno dopo è stato uno champagne di emozioni, di felicità. Mi guardavo intorno e mi esaltavo solo per il fatto di essere negli States. I primi dubbi erano però pronti a presentarsi, ovviamente. La donna che mi ospita lavora tutto il giorno e, nel nulla come sono, proprio non so cosa fare. Effettivamente, non avevo proprio nulla da fare. I giorni prima dell'inizio della scuola non sono stati belli, una noia totale, in totale solitudine. Poi è arrivata la scuola e il tanto atteso primo giorno. È stato bello, verissimo. Finalmente ero nel tanto agognato posto dei film. Ho sognato due volte di tornare in Italia ed erano incubi. Ogni giorno era una sorpresa. Ogni giorno era qualcosa di nuovo. Parlare con un americano con cui non avevo mai parlato mi faceva la giornata. I primi tre mesi sono stati una continua sfida in cui ho combattuto con grande serenità. Mai pensato di voler tornare in Italia. Dicembre è stato un mese di calma, avevo la mia routine, qualcosa da trovare nel weekend lo avevo e Natale è stato come la ciliegina sulla torta. L'Idaho e Capodanno hanno invece toccato i miei massimi negativi. Non me ne sono mai voluto andare da un posto come in Idaho e il Capodanno mi ha fatto desiderare quanto mai prima di poter tornare in Italia, almeno per un giorno. Tornato in Colorado ho avuto bisogno di qualche giorno per riprendermi emotivamente, un mini periodo in cui ho odiato gli Stati Uniti con tutto il mio cuore, "come fa un Paese con un popolo così bigotto, senza libertà e divertimento a dominare il mondo?". Ma poi è iniziato il secondo semestre. Conosco ormai un sacco di gente, ho il controllo della situazione, me la godo. Gennaio è passato come il ricordo di un sogno passa poco dopo essersi svegliati ed ora siamo già a Febbraio. Mancano circa cento giorni al mio ritorno in Italia e a pensarci mi prendo malissimo. Vorrei avere più tempo, vorrei aver passato il primo semestre come sto passando il secondo. Non ho mai speso parole dolci per gli Americani, anzi confermo che la maggior parte di essi sono dei coglioni in balia della religione e del sistema. Ma come si dice in questi casi, l'esperienza è composta dalle persone che incontri e io ne ho incontrate di meravigliose, americani in primis: Ralph, Lain, Cody, Kelsey, Sonia, Jacob, Ashlin. La famosa parabola emotiva è stata per me una linea crescente con qualche pausa negativa ed ora, come mai prima, è una curva con crescita esponenziale che, già lo so, si fermerà nel più bello, tra 100 giorni.
~Il Cittadino
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